L’Agro Romano e i "monelli"

La caduta dell'impero romano e le invasioni barbariche provocarono lo spopolamento della Campagna di Roma, un’area di circa 2000 kmq, e la ricomparsa della malaria, per il progressivo impaludamento di territori non più coltivati. Nei secoli che seguirono non mancarono interventi da parte della stessa Chiesa, con l’istituzione delle Domus Cultae (1), e dei proprietari di alcuni fondi per bonificare e riorganizzare il territorio, ma l’Agro Romano continuò ad essere il regno di pascoli per bestiame brado e transumante, dominato dalle febbri malariche.

bambini colpiti dalla malaria nell'Agro del 1900

Nel 1800 papa Pio VII tentò di migliorare le condizioni di vita, di lavoro e sanitarie della popolazione, peraltro scarsa, della Campagna con opere mirate alla sistemazione delle acque e con il frazionamento dei latifondi , ma non ci fu, fino all'Unità di Italia, nessun altro serio intervento organico di risanamento.

Il più grosso problema era da sempre la gestione dei latifondi che rimanevano difficilmente in mano al proprietario, in genere residente in città, così veniva tutto delegato al "mercante di campagna", il quale utilizzava una parte del terreno a coltura e pascolo per suo conto e il resto lo suddivideva tra pastori transumanti e coloni coltivatori, ricavandone lauti guadagni e speculando anche sul "caporale", che a sua volta traeva profitto dallo sfruttamento della manodopera reclutata per lavorare la campagna, i cui prodotti erano importanti per l'approvvigionamento della città.

Già nel corso del XVIII secolo, a causa anche della mancanza di investimenti e delle scarse innovazioni introdotte in agricoltura, si era verificato un calo progressivo della produzione frumentaria dell'Agro, produzione che non aveva comunque mai coperto il fabbisogno di Roma, per cui si rese necessario che la manovalanza addetta alla coltivazione producesse a tutti i costi e in tutti i modi, anche i più violenti.

lavoratrici dell'Agro con la loro capanna

Gli operai agricoli venivano comunemente chiamati "monelli" ( termine che nel corso del Seicento stava ad indicare misera gente che viveva di espedienti) e potevano venir reclutati sia nel territorio dello Stato Pontificio che in città, dove si radunavano nella scomparsa piazza Montanara , nei pressi del Teatro di Marcello, in attesa di un ingaggio qualsiasi. Spesso, però, venivano costretti - con la forza, con l'inganno o con la minaccia di una denuncia all'autorità giudiziaria (a volte si trattava di pregiudicati) - ad andare a lavorare nell'Agro.

I "monelli" erano riuniti in "Compagnie" ,di donne, uomini e ragazzi, per tutti quei lavori collegati alla coltivazione del grano, in genere i più duri e faticosi, ma anche i meno pagati .

Oltre ai monelli reclutati nella città, vi erano quelli provenienti dai luoghi più arretrati dello Stato Pontificio ( Sabina, Tiburtina, Umbria, Marche ) o dall’Abruzzo, riuniti in gruppi chiamati "compagnie di montagna", che avevano, rispetto agli altri, condizioni di vita migliore perchè, provenendo dalla stessa zona si conoscevano e quindi si proteggevano vicendevolmente dalle angherie dei caporali.

Queste compagnie, composte di uomini, donne, ragazzi ( però difficilmente più giovani dei 15 anni e più anziani dei 23) andavano mediamente da un minimo di 25 ad un massimo di 40 membri, vivevano promiscuamente e in condizioni di semischiavitù, tanto che dai viaggiatori e dai sacerdoti "in missione" nell’Agro erano descritti come esseri più simili alle bestie che agli uomini.

Era importante, inoltre, che i braccianti non fuggissero, viste le pessime condizioni di vita e di lavoro, e questo era principalmente il motivo per cui erano tenuti sotto custodia, senza avere neanche il diritto di assistere alla messa domenicale, o, se vi andavano, erano accompagnati con "bastoni e armi alla mano"; una loro fuga , poi, avrebbe comportato un danno economico anche ai caporali, gente senza scrupoli che speculava persino sul cibo e sul vestiario, per lo più stracci , in quanto le spese per il vitto o gli abiti venivano trattenuti dalla già misera paga di quei poveri disgraziati, che spesso erano in debito e costretti pure a lavorare gratis, ma sempre sorvegliati , nonchè percossi perchè lavorassero con maggior vigore e impegno.

Naturalmente le condizioni di salute dei monelli non erano tenute in considerazione, tanto che lavoravano anche in preda della febbre fino allo sfinimento, e morivano, talvolta, sotto i colpi dei sorveglianti. Nelle "casette", poi, misere capanne in cui avrebbero dovuto riposarsi e in cui vivevano in pessime condizioni igieniche, venivano addirittura legati e costretti , in particolare i più giovani, a subire sevizie e abusi di ogni genere , tanto è vero che questi luoghi furono in seguito chiamate "le galeotte".

Vari e numerosi furono , soprattutto dalla fine del '700 in poi, gli editti emanati dalla Chiesa in favore dei "monelli" ma la situazione rimase in gran parte inalterata e lo sfruttamento proseguì ben oltre l'Unità d'Italia, almeno fino a quando, nel 1900, non ci fu la bonifica dell'Agro Romano e il frazionamento del latifondo.

 

(1)Le Domus Cultae, fondate nell’alto medioevo, erano delle aziende agricole autosufficienti, costituite da case, magazzini, mulini etc., che decaddero non appena iniziò la fortificazione sistematica della Campagna Romana tramite anche il sistema delle torri , usate dapprima come sistema di segnalazione e, successivamente, a scopo difensivo.

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