Le Costituzioni melfitane (1231)
Federico II ordinò la revisione dei privilegi di cui godeva la feudalità per evitare abusi e per diminuire il peso del loro potere. Furono fatte inchieste e processi. Fu dichiarata guerra ai "Falsariis, omicidiis, vitam sumptuosam ducentibus, etc. " . Per ordine dell’Imperatore, le nuove leggi furono in vigore il 1° settembre del 1231 e sono note come Costitutiones Melphitanae, perché vennero promulgate a Melfi. Tuttora si discute sulla attribuzione della paternità della raccolta di queste leggi, poiché lo stesso Federico ne vanta il merito. Il vero artefice, secondo la tradizione, dovrebbe essere Pier delle Vigne, anche se si è orientati a credere che la raccolta sia stata frutto di un lavoro collettivo . Le leggi si fondano sul diritto romano, ma vi ha spazio anche la tradizione normanna dal momento che vi sono leggi che si rifanno a quella cultura. Il codice, tradotto anche in greco per essere meglio compreso da parte della popolazione che parlava questa lingua, rappresenta un importante documento legislativo laico del Medio Evo ed "è l’atto di nascita dello stato amministrativo moderno". Con le Costituzioni Federico, che ha come riferimento Cesare, Teodosio e Giustiniano, vuole combattere la frammentazione dello stato feudale e rivendicare per sé ogni prerogativa di potere, unico ed indivisibile. Secondo Federico, la funzione dell’Imperatore, che in base alla sua concezione è il rappresentante di Dio sulla terra, è di risolvere le discordie e di reprimere, utilizzando le leggi per portare l’uomo sulla retta via. Della Sicilia vuole fare uno Stato modello, d’esempio a tutti gli altri regni. Ecco il contenuto a grandi linee: il potere regio viene ampliato, per cui baroni e città sono privati dei diritti che si erano attribuiti abusivamente; la giustizia penale appartiene al re ed ai suoi magistrati; divieto di portare armi senza autorizzazione ;non è permessa la vendita dei feudi, in quanto appartengono allo Stato; gli ecclesiastici sono soggetti ai tribunali comuni, non possono giudicare gli eretici, non possono acquistare terre; se ne hanno in eredità, devono venderle; le città non possono costituirsi a comune, eleggere consoli o podestà, pena il saccheggio e la condanna a morte per i capi; tutti i sudditi devono pagare i tributi regi; sancisce l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, difende i deboli contro le prepotenze baronali, abolisce il giudizio di Dio, organizza la magistratura e gli uffici. In tutto ciò appare la modernità di Federico che ritorna alla tradizione romana affermando l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Federico elimina il potere dei baroni, del clero e delle città, e tutte le funzioni giuridiche ed amministrative vengono esercitate dal re per mezzo di una organizzazione burocratica centrale, posta alle sue dipendenze. I magistrati sono stipendiati dallo Stato ed eletti per un solo anno, salvo riconferma. Per garantire le entrate necessarie alla vita del regno, crea un sistema finanziario, basato sulle imposte dirette, con istituti incaricati della riscossione. Organizza inoltre un esercito regolare , per non dipendere dai baroni e dai comuni che spesso si sottraevano agli obblighi di fornire la milizia. Ordinamento politico: Al vertice sta il re, il solo che possa fare le leggi, dal momento che il suo potere gli deriva direttamente da Dio. Al suo fianco stanno i grandi ufficiali della Corona, i moderni ministri con funzioni ed attribuzioni ben definite. Questi erano cinque presso la corte normanna, ma Federico ne aggiunge altri due. E qui risiede la sua modernità: i ministri non sono scelti tra i nobili feudali, come avveniva in passato, ma tra gli uomini di cultura, come notai e giuristi ( Grande Ammiraglio , Gran Protonotaro , Gran Camerario, Gran Siniscalco, Gran Cancelliere, Gran Connestabile, Maestro Giustiziere. La Magna Curia è la Suprema Corte di Giustizia, con funzioni di controllo su tutti i funzionari. Il Parlamento, infine, era un’assemblea alla quale potevano partecipare, i feudatari, i rappresentanti delle Università, ed i Comuni , per essere messi a conoscenza delle leggi volute dal sovrano e non per discuterle od approvarle. Potevano però fare presente eventuali necessità. L’autonomia dei baroni era ridotta a quella di un funzionario regio. I comuni aspiravano evidentemente ad avere una certa autonomia, ma Federico non desiderava certo concedere alle città siciliane l’autonomia che vantavano i comuni del nord. Infine i baiuli ed i giudici esercitavano il loro potere nelle città, considerate possedimenti dello Stato. Sono introdotti i monopoli sul sale, sulla seta, sul ferro e sul grano, ma sono abolite le dogane interne, per facilitare i commerci tra le varie province; mentre sono limitati i privilegi commerciali di cui godevano Pisa e Genova. Vengono unificati pesi e misure, coniate monete d’oro, dette "imperiali" ed "augustali", è ricostruita una flotta, ed incentivata l’agricoltura con l’introduzione di nuove colture (cotone, canna da zucchero) e la costruzione di aziende agricole. Dopo questi provvedimenti in tutto il Regno di Sicilia si nota il rifiorire della vita economica, con effetti positivi sulle condizioni di vita.