Le vicende italiane dalla fine della Grande guerra

agli anni di Mussolini

 

di Arianna R. a.n.

Alla fine del 1918 in tutto il mondo dilagava ormai la speranza di una pace duratura, che altro non era se non un’aspettativa destinata a svanire pochi anni dopo con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale.Gli ideali liberali che caratterizzarono il XIX° secolo non trovarono poi conferma nel XX°, viste le profonde trasformazioni di vita pratica, di mentalità e di costume che si verificarono nell’Europa occidentale, senza essere comprese dalle tradizionali classi al potere che continuavano a guidare la vita politica ispirandosi al conservatorismo, al nazionalismo ed all’imperialismo.In Europa la sconfitta austro-germanica e lo scoppio della rivoluzione russa determinarono la nascita di sei Stati sovrani e tutta una serie di rivendicazioni da parte dei Paesi che si ritenevano gravemente danneggiati dal trattato di Versailles.Le maggiori potenze del tempo, anziché ispirarsi ad una visione più equilibrata dei rapporti internazionali, acutizzarono tali legami e prepararono i propri eserciti rendendo inevitabile una nuova prova di forza.L’industria europea, dopo le tragiche esperienze belliche, aveva perduto definitivamente il primato nel mondo a vantaggio degli Stati Uniti d’America.Inoltre la guerra aveva favorito la nascita di un’altra grande potenza economica: il Giappone, il cui apparato produttivo ed industriale era uscito dalla guerra notevolmente rafforzato.L’Europa, nel dopoguerra, si trovò ad affrontare un rifiuto crescente, da parte di ampi strati della popolazione, dei principi basilari del liberalismo e del parlamentarismo, giudicati inadatti a risolvere i problemi dei Paesi. Al loro posto si optava per soluzioni autoritarie ed apertamente antidemocratiche, che non facevano altro che alimentare la violenza ed i conflitti.In questa atmosfera era pressoché impossibile strutturare una vita democratica e parlamentare. Le libertà individuali venivano eliminate o fortemente limitate ed il nostro continente, precedentemente definito "moderno", si avviava a perdere la tradizionale supremazia ed a vivere gli anni del tramonto.I governi fortemente autoritari che presero il potere, detti anche "regimi totalitari", non ritenevano importante il modo utilizzato per giungere al potere, ma fondamentale per loro era conquistarlo ad ogni costo e basarono il proprio successo sulla rivoluzione violenta e sulla forza dell’esercito.Questi regimi furono divisi in due sistemi opposti: il comunismo sovietico-bolscevico ed il fascismo italo-tedesco.Tuttavia ci furono dei Paesi che riuscirono a mantenere in vita i propri governi liberali, come la Francia e la Gran Bretagna, anche se, persino in tali Stati, non mancarono manifestazioni autoritarie e regimi tutt’altro che democratici.Neanche l’Italia sfuggì alla crisi della civiltà liberale e proprio in essa prese vita, per la prima volta, il fascismo. Il dopoguerra italiano fu segnato da due eventi che cambiarono decisamente la vita politica del Paese:l’intervento diretto delle masse popolari e la diffusa sfiducia nei confronti dei governi liberali.Mentre l’intervento delle masse poteva essere molto positivo per lo sviluppo del Paese, la loro sfiducia nei confronti dei governi liberali costituiva un fatto di estrema gravità, che per di più incrinava alla base la vita democratica.Il clima di disagio che aleggiava, faceva pensare all’avvicinarsi di una guerra civile, visto che ormai tutti gli strati sociali avevano buone ragioni per lamentarsi del governo. Anche se l’Italia era uscita vincitrice dal conflitto, era dominata da grosse difficoltà economiche e da profondi contrasti sociali.La lunga guerra aveva inoltre creato elevatissimi debiti, la produzione agricola era notevolmente diminuita e le industrie dovevano trasformarsi per poter creare prodotti adatti ai tempi di pace. Neanche la classe imprenditoriale uscì completamente intatta dal conflitto, in quanto pensava di poter risolvere le difficoltà con la riduzione della propria produzione industriale e con il licenziamento degli operai. Tutto ciò non fece altro che determinare l’aumento della disoccupazione e l’origine di un’inflazione galoppante. Ad appesantire la situazione contribuì la convinzione che i sacrifici sostenuti in guerra non erano serviti a nulla dato che l’Italia non aveva neppure raggiunto gli ampliamenti territoriali promessi.Così anche la delusione per la "vittoria mutilata" contribuì a riaccendere le lotte interne, da una parte c’erano i nazionalisti e gli ex interventisti di destra e dall’altra i vecchi neutralisti.Un così pesante stato di crisi generale non tardò ad essere aggravato da una "guerra civile" che si verificò nel corso del primo biennio del dopoguerra (1919-1920) definito "biennio rosso" in quanto caratterizzato dalla convinzione che anche in Italia c’erano ormai le condizioni per una rivoluzione socialista come quella russa. Fu infatti il "biennio rosso" a far emergere presso larghe masse del Paese l’idea e la speranza della rivoluzione. Scioperi e barricate culminarono nel 1920 nella occupazione delle fabbriche da parte di alcuni operai metallurgici. Gli industriali respinsero le richieste dei dipendenti ed infatti alla fine risultò chiaro l’insuccesso della classe operaia. Il movimento operaio scatenò il timore di un ormai prossimo sovvertimento dell’ordine costituito e l’occupazione delle fabbriche segnò un passo decisivo per la conquista del potere da parte degli operai.

Molti cattolici, riuniti nel Partito Popolare Italiano fondato da Luigi Sturzo, chiedevano una radicale riforma agraria. In base ad essa il proprietario cessava di essere il padrone per diventare socio dei contadini e dei salariati.Un simile modo di ragionare finì naturalmente per aumentare le preoccupazioni della classe conservatrice, che iniziava a pensare ad una pericolosa diffusione della predicazione socialista e quindi alla necessità di premunirsi anche contro il "bolscevismo bianco" fiancheggiatore del "bolscevismo rosso". A complicare ulteriormente la situazione intervenne la scissione del Partito Socialista: l’ala sinistra, separandosi nel 1921 dall’ala più moderata e riformista, dette vita al Partito Comunista sotto la guida di Antonio Gramsci, predicando l’attuazione di una rivoluzione di tipo leninista. Stando così le cose era evidente che la vita democratica non esisteva ormai più nella nostra penisola.Chi in questo stato di cose seppe mostrarsi più abile e più deciso fu l’ex socialista interventista Benito Mussolini; egli era riuscito a raccogliere intorno a sé alcuni simpatizzanti presso ogni strato sociale. Pian piano l’atteggiamento di Mussolini si fece però più flessibile alle diverse esigenze del movimento ed espressione del suo pensiero furono le "squadre d’azione", i cui membri vestirono al camicia nera ed ebbero come distintivo il fascio littorio ed il compito di tali squadre era di assalire e disperdere le organizzazioni non in linea con il programma fascista e di mettere a tacere i politici dei partiti di sinistra.Il Presidente del Consiglio Giolitti, tornato al potere nel 1920, rimase passivamente a guardare di fronte al comportamento di Mussolini, convinto di poter, al momento opportuno, riprendere in mano la situazione.Con le elezioni del 1921 cadde il ministero presieduto da Giovanni Giolitti. Il suo successore fu il ministro della guerra Ivanoe Bonomi, il quale cedette ben presto il potere al ministro delle finanze Luigi Facta. Era ormai evidente che lo Stato liberale si avviava verso una definitiva crisi, tanto più che i fascisti, riuniti in un vero e proprio partito, dichiaravano ormai anche apertamente di voler arrivare con la forza al governo del Paese.E ciò avvenne il 26 ottobre 1922 quando Mussolini ordinò ai suoi di marciare su Roma e d’impadronirsi del potere, ben consapevole della facilità dell’impresa per il sostanziale consenso delle autorità statali. Facta si preparò a resistere a tale spedizione certamente non irresistibile dal punto di vista militare.Con tutto ciò, quando egli si decise a presentare al sovrano il decreto intimante lo stato d’assedio, Vittorio Emanuele si rifiutò di firmarlo ed invitò Mussolini a raggiungere Roma per formare un nuovo governo. La guerra civile era finita: finalmente il fascismo sarebbe rientrato nella legalità. Mussolini fondò la propria forza politica su una graduale trasformazione degli ordinamenti liberali in senso autoritario. Fin dal dicembre 1922 egli si preoccupò di limitare l’attività politica del Parlamento, istituendo un altro organo collegiale, il Gran Consiglio del Fascismo. Il suo grande desiderio era infatti quello di arrivare al pieno controllo del Parlamento, ecco perché decise di indire nuove elezioni per l’aprile 1924, dopo aver fatto votare una legge elettorale di tipo maggioritario, la legge Acerbo, in base alla quale due terzi dei seggi sarebbero andati al Partito che avesse ottenuto più voti e l’ultimo terzo sarebbe stato assegnato alle liste minori. Una simile iniziativa era fondata sulla certezza di poter ottenere molti consensi. Una certezza nella quale Mussolini si sentiva di poter contare per via del clima di terrorismo creato nel Paese, per l’appoggio di alcuni autorevoli uomini politici e per il fatto che una gran parte della popolazione, priva di esperienza democratica, si sarebbe lasciata facilmente convincere dalla propaganda fascista. Naturalmente l’opposizione protestò con forza chiedendo l’annullamento delle elezioni.Il 10 giugno 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti venne rapito ed assassinato da alcuni sicari fascisti.Per un momento sembrò che il fascismo stesse per concludere la sua esistenza, ma il re, che doveva garantire il rispetto delle leggi e della Costituzione, non si mosse, di fronte a tale situazione l’opposizione abbandonò la Camera dando vita ad una secessione detta Aventino. Tale protesta non ebbe, però, i risultati sperati, sia perché i partiti democratici non riuscirono a mettersi d’accordo e ad organizzare la lotta, sia perché Mussolini ormai godeva dell’appoggio della Monarchia e dei più alti esponenti dell’esercito e della grande borghesia industriale ed agraria, ma, soprattutto, perché questa secessione dette modo a Mussolini di anticipare la distruzione delle istituzioni democratiche.Infatti nel discorso alla Camera del 3 gennaio 1925, il Duce, come si fece successivamente chiamare, annunciò la soppressione delle libertà costituzionali e l’instaurazione della dittatura.Quella data costituì l’inizio di un processo di smantellamento dello Stato liberale ed il primo vero passo del Fascismo verso la formazione di un regime forte, accentrato e conservatore, fondato sulla dittatura unica ed assoluta di Mussolini.Nel 1926 vennero promulgate le leggi fascistissime, il Parlamento venne fortemente limitato a tutto vantaggio del potere esecutivo, in tal modo Mussolini si attribuiva il diritto di svolgere un’attività legislativa autonoma e persino in contrasto con le norme vigenti.A questo punto era ormai evidente la fine dello Stato liberale e la trasformazione della "semplice" Rivoluzione Fascista in un vero e proprio regime.

Con l'emanazione delle leggi fascistissime tutti i partiti e tutti i movimenti politici vennero sciolti.

 

 

Richard Matheson

di

Massimo D. A.

 

Richard Matheson nasce a Brooklyn nel 1926 e già da giovanissimo(8 anni) scrive alcune poesie che vengono pubblicate.

Nel 1943 si diploma alla technical high school ed entra subito dopo nell’ esercito; poco tempo dopo però viene congedato perchè ferito in un azione bellica.

Appena congedato, decide di studiare giornalismo all’ università del Missouri.

nel 1950 scrive il suo primo racconto: nato da uomo e donna, il diario di un bambino-mostro che viene segregato in cantina e picchiato malamente solo per il suo aspetto mostruoso; alla fine del racconto il bambino dice di voler vendicarsi di tutti i soprusi subiti facendo del male ad i suoi genitori. L’autore vuole con questo racconto criticare la società odierna dove è presente, purtroppo, il razzismo legato solo al colore della pelle o al paese di provenienza.

L’ anno dopo si trasferisce in California e nel ’52 si sposa e riporta l’ incontro con la moglie nel racconto fiamma frigida che poi farà diventare un romanzo: cieco come la morte .

Entra a far parte di un gruppo di scrittori di gialli, i "fictoneers"; in questo periodo scrive infatti romanzi gialli come notte di furia,1954 e cavalca l’ incubo,1962.

Lavora in fabbrica ma sogna di diventare uno scrittore a tempo pieno; intanto riprende un’idea avuta a 17 anni guardando il film dracula e scrive io sono la leggenda. E’ la storia dell’ ultimo uomo sulla terra, una terra popolata interamente da vampiri, creati da un virus diffusosi dopo una guerra batteriologica, che uccide tutti gli esseri umani trasformandoli in mostri assetati di sangue; tutti tranne lui, l’ unico ed ultimo sopravvissuto che a stento riesce a sopravvivere ai continui assedi a casa sua da parte dei vampiri con le ultime riserve di cibo del mondo. Quest’ uomo però non sopravviverà perché verrà ucciso dalle persone infette non ancora divenute vampiri che intanto cercavano di riprendersi il mondo con violenza e brutalità. L’ autore vuole farci capire che ormai ,in una società come quella di oggi, il "mostro" è la persona in minoranza che per noi è anormale e quindi da allontanare e ,alcune volte, addirittura da eliminare.

Nel 1956 esce il suo racconto tre millimetri al giorno che fu costretto a scrivere di notte dopo il lavoro; ebbe molto successo e quindi la "universal" comprò subito i diritti e ne trasse un film: radiazioni BX distruzione uomo; il Film divenne talmente popolare da spingere la "universal" a chiedere a matheson un seguito che però non vedrà mai la luce.

Nel 1958 scrive io sono Helen Discroll; fu un altro grande successo.

Matheson collaborerà a molti film come sceneggiatore o proprio adattando i suoi romanzi al cinema.

Lavora come sceneggiatore nella serie televisiva star trek,

viene ingaggiato nella sceneggiatura de gli uccelli di Alfred hitchcock e riadatta il suo romanzo io sono la leggenda traendone il film l’ ultimo uomo sulla terra,collabora con lo squalo3, cronache Marziane, poliziotti a due zampe e molti altri film.

Da Un’intervista a Richard Matheson

…………….. Stephen King ha sempre dichiarato di essere stato un suo allievo. Che cosa ha imparato da lei?
Credo che la mia maggiore influenza su King stia nel fatto che lui, al pari di molti altri scrittori, prima di iniziare a leggere i miei libri scrivesse storie fantasy e horror su castelli, cimiteri, vampiri, mentre le mie storie raccontavano di fatti terribili che accadono nel tuo quartiere e al supermercato. Credo che questo gli abbia offerto una prospettiva narrativa completamente diversa. La cosa che King sa fare meglio, ovviamente, è raccontare delle storie. È un bravo narratore ed io stesso mi considero un narratore.

Cosa le fa paura?
Il termine paura è relativo a una serie piuttosto ampia di eventi. Si può avere paura di prendersi un raffreddore oppure, per estremizzare, si può avere paura di avere come vicino di casa un vampiro. Non esiste un limite alle paure degli esseri umani, dalla paura più mondana a quella più stravagante.
In questo momento io personalmente non ho paura di nulla in particolare. Grazie a Dio, i miei figli sono cresciuti e sono in ottima salute e anche mia moglie sta bene: è ancora con me e ha una sua attività lavorativa. E io stesso vengo intervistato da un sacco di gente diversa. Prendiamo questa intervista, per esempio. C’è un sacco di gente che scrive articoli su di me e che non l’ha mai fatto prima. Ho come la sensazione che se vivi sufficientemente a lungo, prima o poi qualcuno si accorgerà di te.

Recentemente il suo Io sono leggenda è stato ristampato in Italia con successo da Fanucci ed è stato classificato come un thriller…
È buffo ma credo che Io sono leggenda sia il mio unico vero romanzo di fantascienza. È probabile che non tutti siano d’accordo con me. Per scriverlo chiacchierai a lungo con una dottoressa e ho letto molte ricerche scientifiche sulle mutazioni. Tutti gli elementi biologici che presento nel libro per fornire una spiegazione all’esistenza dei vampiri sono assolutamente logici. Li ho analizzati nel dettaglio, decrivendo il loro aspetto, come distruggerli, perché debbano restare all’interno di una casa, e via discorrendo.

Come ha avuto l’idea di scrivere Io sono leggenda?
Da ragazzino andai a vedere Dracula con e, a dispetto della mia giovane età, mi venne l’ispirazione. Passarono diversi anni prima che io mi mettessi a scrivere ma l’idea di base era questa: se un vampiro fa così paura, cosa succederebbe se tutta l’umanità fosse fatta di vampiri, a eccezione di un uomo?

E quella di Tre millimetri al giorno?
L’ho presa da un film …... A un certo punto della storia, Ray Milland se ne andava stizzito, prendeva il suo cappello e se lo metteva in testa ma il cappello era talmente grande da scendergli fin sotto gli orecchi. Al che mi sono domandato: e se un uomo si infilasse un cappello ,che è certo il suo, e gli succedesse comunque una cosa del genere, rendendosi conto di essere diventato più piccolo?

È d’accordo sul fatto che La notte dei morti viventi di George Romero si avvicina maggiormente alle atmosfere di Io sono leggenda di quanto facciano L’ultimo uomo sulla terra di Umberto Ragona (sceneggiato da lei stesso) e 2020— occhi bianchi sul Pianeta Terra con Charlton Heston?
Assolutamente sì. Per un certo periodo di tempo, lavorai come consulente creativo per la Disney e mi capitò di incontrare Romero. In passato mi era venuta un’idea che mi era parsa gli potesse interessare. Quando mi vide, alzò le mani come se io fossi sul punto di menarlo e disse: "Spiacente, la sua idea non ha fatto soldi!". Certo che ho visto quel film in televisione e mi sono detto: "Non sapevo avessero girato Io sono leggenda… Romero l’ha definito un omaggio, che in pratica significa che non ha dovuto darmi un soldo per realizzarlo!



È vero che la storia di Duel è ispirata a un vero episodio che le è accaduto?
Sì, è vero. Avevo un amico scrittore, ora scomparso, che si chiamava Jerry Soul. Era uno scrittore di fantascienza. Una volta andammo a giocare a golf in un posto chiamato Elkon’s Ranch, oltre Moore Park. Interrompemmo la partita per pranzare sul posto e fu allora che venimmo a sapere che il presidente Kennedy era stato assassinato. La notizia ci sconvolse e non riuscimmo a mangiare niente e certo non concludemmo la partita. Salimmo in macchina e iniziammo a percorre questa strada tortuosa che passava per un canyon quand’ecco che un enorme camion iniziò a tallonarci, facendosi sempre più minaccioso. Per cui Jerry dovette accelerare e andare sempre più veloce. Insomma, per farla breve finimmo fuori strada e così facemmo testa coda, in una nuvola di polvere, e il camion ci sfrecciò accanto come se niente fosse. Naturalmente noi eravamo sotto shock. La cosa buffa, ancor oggi, è ammettere che, una volta passato lo spavento iniziale, lo scrittore che è in me prese il sopravvento. Fu come se una parte del mio cervello non tenesse conto dello spavento e dicesse: "Questa sì che sarebbe una bella storia!" Così mi sono annotato alcune delle sensazioni provate, sensazioni che avrebbero rappresentato l’idea di base della storia.

 

 

Antonio Gramsci  

1891.Nasce ad Ales (Cagliari), quarto di sette figli, da Francesco e Giuseppina Marcias, di origine albanese.

1894. La famiglia si trasferisce a Sorgono (Nuoro) A quegli anni va fatta risalire l'origine della sua malattia, una malformità fisica, in seguito alla caduta dalle braccia di una balia, che sarà motivo di sofferenze fisiche per tutta la vita.

1911. Consegue a Cagliari la licenza liceale, nel novembre si iscrive alla facoltà di lettere dell'università di Torino, vincendo una borsa di studio (70 lire mensili) del Collegio Carlo Alberto di Torino.

In quel periodo l’Italia è ancora divisa tra un Nord industrializzato e un Meridione caratterizzato dal latifondo. L’alleanza fra industriali ed agrari, fondata sulla politica protezionistica, esclude la partecipazione al potere delle masse popolari. Ma dopo i movimenti dei fasci siciliani (1894) e l’insurrezione popolare di Milano (1898) costringe la borghesia italiana a scendere a patti con il movimento operaio.

In quegli anni Torino è una città industrializzata che ospita circa 60.000 immigrati che lavorano nelle fabbriche e dove le organizzazioni sindacali organizzano le lotte nelle fabbriche: Gramsci partecipa alle agitazioni sociali e matura la sua ideologia socialista.

1913.Si iscrive alla sezione socialista torinese.

1914 Scoppia la prima guerra mondiale. Gramsci sostiene una posizione di "neutralità attiva e operante" nei confronti dell’entrata in guerra, in contrasto con la "neutralità assoluta" del movimento socialista.

1915. Entra a far parte della redazione torinese dell'Avanti!, allora diretto da Salvemini, occupandosi soprattutto di costume, critica teatrale e cultura. L’Italia entra in guerra.

1917. Continua l'attività giornalistica e assume la direzione del Grido del popolo. Diventa segretario della commissione esecutiva provvisoria delle sezione socialista di Torino.

In ottobre, in Russia, i bolscevichi, guidati da Lenin, rovesciano il governo provvisorio e assumono il potere.

1918 nasce l’edizione piemontese dell’Avanti nella cui redazione entra Gramsci.

Finisce la prima guerra mondiale.

1919. Con Terracini, Tasca e Togliatti dà vita all'Ordine Nuovo, rassegna settimanale di cultura socialista, che si schiera in favore dei movimenti dei consigli di fabbrica.

Grazie alla legge sul suffragio universale, il PSI e il Partito Popolare eleggono rispettivamente 156 e 100 deputati. A Parigi si inaugura la Conferenza di Pace; a Mosca nasce la Terza Internazionale comunista, a cui aderisce il Partito Socialista Italiano.

1920. Partecipa al movimento dell'occupazione delle fabbriche

1921. Il 1° gennaio esce il primo numero dell'Ordine Nuovo quotidiano, organo dei comunisti torinesi. Gramsci partecipa a Livorno al Congresso del Partito Socialista, dalla cui scissione nasce il Partito Comunista d'Italia e Gramsci fa parte del Comitato centrale.

1922. Va a Mosca a rappresentare il PCI alla seconda conferenza dell'Internazionale. Sta male, viene ricoverato in una casa di cura presso Mosca dove resterà per alcuni mesi e dove conosce Giulia Schucht, che diventerà sua moglie e dalla quale avrà due figli: Delio e Giuliano.

In Italia avanza il movimento fascista, in ottobre Mussolini marcia su Roma, a novembre forma il Governo con pieni poteri.

1923. Durante il soggiorno a Mosca è colpito da mandato di arresto dalla polizia italiana, ormai agli ordini dei fascisti che hanno preso il potere. Il 3 dicembre giunge a Vienna, con il compito di tenere i collegamenti tra il partito italiano e gli altri partiti comunisti europei.

1924. Il 12 febbraio esce il primo numero dell'Unità. Il 6 aprile Gramsci è eletto deputato nella circoscrizione del Veneto. Rientra in Italia il 12 maggio. In agosto nasce a Mosca il figlio Delio.

Le elezioni, contrassegnate da violenze e intimidazioni, assegnano il 65 per cento dei suffragi ai fascisti. Il deputato Giacomo Matteotti, che aveva denunciato i brogli, viene assassinato.

1926 Partecipa, a Lione, al terzo Congresso nazionale del Partito Comunista. Nasce a Mosca il secondo figlio, Giuliano. Nonostante l'immunità parlamentare, l'8 novembre è arrestato e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, a Roma e assegnato al confino di polizia per cinque anni nell'isola di Ustica, dover arriva il 7 dicembre.

Mussolini scioglie i partito d’opposizione, dichiara decaduti i parlamentari dell’opposizione, istituisce il confino di polizia.

1927. E' trasferito nel carcere di San Vittore a Milano, dove inizia a progettare uno studio sugli intellettuali italiani.

1928. E' di nuovo trasferito a Regina Coeli. A seguito del processo contro il gruppo dirigente del Partito Comunista è condannato a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni di reclusione e assegnato al carcere di Turi (Bari).

1929. A febbraio inizia a scrivere "I Quaderni" dal carcere

Tra lo Stato italiano e il Vaticano sono stipulati i Patti Lateranensi

1932. A seguito di provvedimenti di amnistia, la condanna è ridotta a 12 anni e 4 mesi

1933. Gia molto sofferente, è trasferito in una clinica a Formia, come detenuto.

I nazisti assumono il potere in Germania

1935 Le sue condizioni di salute peggiorano, è trasferito alla Clinica Quisisana di Roma.

1937. Terminato in aprile il periodo di libertà condizionale, è finalmente libero, ma il 25 aprile ha una forte emorragia celebrale. Muore il 27 aprile. Sarà sepolto al cimitero del Verano e dopo la Liberazione, al cimitero degli Inglesi, a Roma.

GLI SCRITTI

Antonio Gramsci risulta nell’elenco dei 250 autori più citati nella letteratura umanistica internazionale. In tutto il mondo gli sono stati dedicati centinaia di libri, di saggi e di articoli, tanto da rendere difficile raccogliere una biografia completa sulla critica gramsciana.

L’opera di Gramsci si può definire un’indagine generale sulla funzione degli intellettuali e dell’organizzazione della cultura. La sua attenzione per i problemi culturali appare evidente fin dai primi studi e scritti giovanili, dalla passione per la glottologia (studio dei sistemi linguistici) all’università, alla sua attività di giornalista e di critico teatrale.

Dal 1915 fino all’arresto, Gramsci svolge un’importante attività giornalistica, in cui è sempre evidente l’impegno a mantenere viva la relazione tra teoria e cronaca, tra cultura e politica. Educare le masse per contribuire a formare una coscienza politica moderna, è questo l’obiettivo che si pone il Gramsci giornalista, che fu sempre un "giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per far piacere a dei padroni o manutengoli".

Ma Gramsci non è stato solo un grande intellettuale: il suo contributo, come militante socialista e dirigente del partito comunista, alle lotte a allo sviluppo del movimento operaio italiano e internazionale è stato elevatissimo.

Il termine cultura è congiunto a socialismo già in un articolo apparso sul Grido del Popolo. Si legge come sia soprattutto il proletariato a subire gli effetti dannosi di una concezione della cultura come sapere enciclopedico "in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e da stivare di dati empirici, di fatti brutti e sconnessi che egli poi dovrà cesellare nel suo cervello come colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno". Per Gramsci invece "la cultura è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri…".

LE LETTERE DAL CARCERE

Le Lettere dal carcere furono pubblicate per la prima volta nel 1947. La prima edizione ne comprendeva 218, una seconda ne comprendeva 428 e altre lettere inedite furono pubblicate in seguito.

Le Lettere scritte da Gramsci dopo l’arresto sono quasi tutte indirizzate ai familiari. Alla moglie Giulia e ai figli Delio e Giuliano che vivevano a Mosca; alla madre, alle sorelle, al fratello, ai nipoti in Sardegna; molte alla cognata Tatiana e all’amico economista Piero Sraffa.

Se la corrispondenza non fosse stata sottoposta alle norme carcerarie (da Milano poteva scrivere due lettere a settimana, da Turi prima ogni quindici giorni, poi ogni settimana, ma solo ai parenti) il contributo di Gramsci sarebbe stato sicuramente molti più elevato, anche perché per Gramsci scrivere era un modo per sottrarsi all’abbrutimento della vita carceraria. Con i parenti rievoca l’infanzia, la sua Sardegna, segue con interesse, non solo politico, il paese dove vivono i suoi figli, l’Unione Sovietica, si preoccupa dell’educazione di figli e nipoti, li consiglia negli studi e dimostra una grande tenerezza nei loro confronti; con Tatiana e Sraffa discute di scienza, di filosofia, di economia, di politica,

Le Lettere sono, da punto di vista umano e letterario, uno dei maggiori epistolari della nostra letteratura. Con una scrittura semplice, esprimono una grande forza morale, una grande capacità di interessarsi profondamente alle vicende degli altri. Non sono solo un documento di alto valore umano ma, come un diario, consentono di seguire il processo del suo pensiero, parlano della sua vita passata e presente e sono fondamentali per capire i Quaderni.

I QUADERNI

Sono trentatré i Quaderni del carcere, contenuti in oltre duemila note, che nel 1938 furono portati a Mosca, per volontà dello stesso Gramsci, che voleva fossero consegnati alla moglie; furono invece consegnati a membri del Partito Comunista Italiano.

La prima edizione dei Quaderni appare in Italia tra il 1948 e il 1951, presso l’editore Einaudi. Le note vengono raggruppate per temi e argomenti in sei volumi con i seguenti titoli:

-Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce

-Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura

-Il risorgimento

-Note sul Macchiavelli, sulla politica e sullo Stato Moderno

-Letteratura e vita nazionale

-Passato e presente.

I Quaderni, nell’intenzione di Gramsci, dovevano essere una raccolta degli elementi preparatori per fondare una teoria sulle riflessioni e sulla sua attività come dirigente politico. Sono molti gli argomenti che ricorrono nei Quaderni. Punto di partenza della ricerca è un saggio sulla questione meridionale; l’analisi si allarga alla funzione degli intellettuali nella storia d’Italia, all’analisi sul fascismo, il rapporto tra Macchiavelli e Marx, il Risorgimento, il folklore, il concetto di nazional-popolare, la critica letteraria, la questione della lingua e altri ancora. Particolarmente importante è il concetto di "egemonia", con il quale Gramsci intende un complesso di attività culturali e ideali –di cui sono protagonisti gli intellettuali- che organizza il consenso e che si contrappone al concetto di "dominio".

LE FAVOLE

Antonio Gramsci, nei lunghi anni di prigionia non smise mai di scrivere e di pensare. Ma ottenere libri, carta, penna o matite erano conquiste difficili, doveva aspettare a lungo prima di avere quello che chiedeva. Doveva accontentarsi dei pochi mezzi che il carcere passava e dei pochi volumi che la censura fascista permetteva nelle biblioteche. Non gli fu concesso nemmeno di avere un’edizione economica della Divina Commedia!

Per fortuna le fiabe dei fratelli Grimm non erano vietate e cominciò a tradurle dal tedesco in italiano, per farle conoscere ai suoi figli e ai nipoti, che conosceva solo attraverso le fotografie.

Scrisse alla sorella Teresina il 18 gennaio 1932: "…..Ho tradotto dal tedesco, per esercizio, una serie di novelline popolari proprio come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini (…) Vedrò di ricopiarle in un quaderno e di spedirtele, se mi sarà permesso, come un mio contributo allo sviluppo della fantasia dei piccoli".

Non gli fu mai permesso di inviare le fiabe ai bambini, perché dal carcere non potevano uscire i manoscritti dei detenuti. Furono ritrovate tra le pagine dei Quaderni, dopo la sua morte.

 

LETTERA AL FIGLIO

Carissimo Delio,

io non so se l'elefante può (o poteva) evolversi fino a diventare sulla terra un essere capace, come l'uomo, di dominare le forze della natura e di servirsene per i suoi propri fini -in astratto. Concretamente l'elefante non ha avuto lo stesso sviluppo dell'uomo e certo non l'avrà più perché l'uomo si serve dell'elefante, mentre l'elefante non può servirsi dell'uomo,neanche per mangiarselo. Ciò che pensi della possibilità dell'elefante di adattare le sue zampe per il lavoro pratico non corrisponde alla realtà: infatti l'elefante ha come elemento "tecnico" la proboscide e dal punto di vista "elefantesco" se ne serve a meraviglia per strappare alberi, per difendersi da certe circostanze ecc… Tu mi avevi scritto che ti piaceva la storia e così siamo giunti alla proboscide dell'elefante. Io credo che per studiare la storia non bisogna troppo fantasticare su ciò che sarebbe successo "se"...(se l'elefante si fosse drizzato sulle zampe posteriori per dar maggior sviluppo al cervello, se…se…;e se l’elefante fosse nato con le ruote? Sarebbe stato un tranvai naturale! E se avesse avuto le ali? Immagina un’invasione di elefanti come quelle della cavallette!). E’ già molto difficile studiare la storia realmente svoltasi, perché di una gran parte di essa si è perduto ogni documento; come si può perdere il tempo a stabilire ipotesi che non hanno fondamento? E poi nelle tue ipotesi c’è troppo antropomorfismo. Perché l’elefante doveva evolversi come l’uomo? Chissà se qualche saggio vecchio elefante o qualche giovanetto ghiribizzoso elefantino, dal suo punto di vista, non fa delle ipotesi sul perché l’uomo non è diventato un proboscidato! Aspetto una tua lunga lettera su questo argomento. Qui non ha fatto molto freddo e poi quest’anno io non soffro per il freddo come gli anni scorsi. Ci sono sempre dei fiori sbocciati. Non ho con me nessun uccelletto ma vedo sempre nel cortile due coppie di merli e i gatti che si appiattano per prenderli; ma i merli non pare se ne preoccupino e sono sempre allegri ed eleganti nelle loro mosse.  Ti abbraccio.  Papà

di Stefano P.

 

IGNAZIO SILONE (1900 – 1978)

Ignazio Silone, pseudonimo di Secondo Tranquilli, nasce a Pescina dei Marsi, località in provincia dell’Aquila, nel maggio 1900. I suoi genitori , madre tessitrice e padre piccolo proprietario terriero, gli permettono di trascorrere un’ infanzia serena. Rimane però orfano all’età di quattordici anni, non dimenticando mai l’insegnamento derivato dall’atteggiamento anticonformista del padre, contrario ad ogni compromesso. Interrotti gli studi liceali, prende parte al movimento operaio rivoluzionario, opponendosi fermamente ad ogni tipo di repressione; viene processato ed imprigionato. Fin dalle origini fu un convinto oppositore del fascismo, le cui idee lo portarono a collaborare anche con Gramsci. Muore nell’agosto 1978 a Ginevra, dopo aver pubblicato svariate opere ed aver ottenuto la stima di molti intellettuali. Nei suoi lavori, Fontamara , Vino e Pane, La scuola dei dittatori , Il seme sotto la neve, Una manciata di more, Il segreto di Luca, racconta esperienze personali, trattando tematiche attuali e reali. Il romanzo “Fontamara” è una dolorosa ed appassionata testimonianza dell’ oppressione economica patita da poveri ed ingenui abruzzesi durante il fascismo, una tragica esperienza che contribuirà a far nascere una coscienza nella popolazione, che troverà lentamente il coraggio di ribellarsi all’oppressore. In questo romanzo l’autore ci offre la sua “personale” testimonianza sul periodo fascista, rendendo, secondo me, queste pagine formative, poiché fanno riflettere sul fatto che ogni dittatura non considera le esigenze delle persone più bisognose, ma si preoccupa solo di mantenere il potere. Nei suoi libri, Silone descrive, con uno stile scarno ma ricco di pathos, lo sfruttamento e la rassegnazione secolari dei contadini d’ Abruzzo e si dirige sempre più verso un realismo psicologico mentre la componente politica va sempre più affievolendosi.

Giacomo G.

 

 ALEKSANDR SERGEEVIC PUSKIN (1799 - 1837)

Nasce a Mosca nel 1799 in una famiglia di piccola ma antichissima nobiltà. Trascorre la sua infanzia in un ambiente intellettuale, e mostra subito un grande interesse per la letteratura e la poesia francese. Nel 1817, dopo aver completato gli studi superiori, trova un impiego al ministero degli esteri e partecipa con interesse alla vita mondana e letteraria dì Mosca. In questo periodo scrive alcune delle sue poesie più importanti tra cui Alla libertà (1817) e La Campagna (1819), alle quali segue il poema Ruslan e Ludmilla. A causa delle sue poesie di argomento politico fu però costretto, nel 1821, ad andare in esilio. In questo periodo lo scrittore compone alcune tra le sue maggiori liriche e poemi, scritti tra il 1821 e il 1823, come il Prigioniero del Caucaso, I Fratelli masnadieri, La fontana di Bachcisaraj e Gli zingari. Espulso dal servizio nel 1823 si ritira a Michajlovskoe. Gli anni che vanno dal 1825 al 1830 sono per Puskin di intensa attività letteraria , poiché scrive: la tragedia Boris Godunov, I Racconti di Belkin e i brevi drammi II cavaliere avaro, Mozart e Salieri, e II festino durante la peste. In seguito all'ingresso a corte, del 1831, ha modo di documentarsi sull'insurrezione di Pugacev su cui scrive il romanzo La figlia del capitano, pubblicato nel 1836. Muore nel Gennaio 1837, in seguito alle ferite riportate in un duello. Puskin appartiene alla corrente letteraria del romanticismo russo e si occupa di vari generi: il poema narrativo, il dramma , il romanzo storico, il saggio critico, il racconto fantastico e contemporaneo e le favole. Le prime poetiche di Puskin risalgono al liceo, ma dovrà aspettare sino al 1820 per avere un clamoroso successo con il poema Ruslam e Liudmilla, in cui il tema principale è rappresentato da una sottile ironia. La poetica di Puskin è notevolmente influenzata da quella francese, ma anche arricchita da caratteristiche proprie, un' attenta scelta linguistica e lessicale e un' accurata descrizione dei luoghi e dei personaggi. Si ricordano altre opere come I/ prigioniero del Caucaso, La fontana di Bachcisaraj, e I fratellii masnadieri, che raccontano di fatti realmente accaduti, di cronache storia, di autobiografia e di leggenda. In seguito scrive, nel 1831, il romanzo in versi Evgenij Onegin, opera che riflette molto la personalità interiore di Puskin e destinata a divenire un vero e proprio modello di romanzo romantico russo. Nello stesso periodo in cui si occupa dell' Onegin scrive ,nel 1825, II conte Nulin e La casetta a Kolomma. Ne Gli zingari lo scrittore mette in luce un importante problema della società russa del tempo esaltando il tema dei diritti dell' uomo. Scrive inoltre anche splendide fiabe in versi, tra cui La favola dello zio Saltan e La fiaba del galletto d'oro in cui sono ben evidenziate le sue capacità tecniche in perfetta sintonia con le tradizioni e il folklore russo. Per quanto riguarda la narrativa in prosa il più importante dei suoi romanzi è La figlia del capitano, in cui sono presenti diversi temi : cronaca familiare, testimonianza storica, invenzione fantastica e storia d' amore. Opera inoltre anche nel teatro, scrivendo il dramma in prosa e in versi Boris Godunov, che rappresenta il primo tentativo russo di tragedia romantica. Altri piccoli drammi in versi sono: II cavaliere avaro e II convitato di pietra. Ciò che però accomuna tutte le opere di Puskin sono le sue tematiche, e cioè il contrasto tra libertà creativa e le esigenze della massa, il senso di un sentimento nazionale e i diritti dell' uomo.

N.D. Giulia M.

 

EDGAR ALLAN POE ( 1809 - 1849)

 Scrittore, poeta e critico statunitense. Figlio di attori girovaghi, rimane orfano da bambino e viene allevato da un ricco commerciante della Virginia, che lo porta con sé in Inghilterra. Qui inizia gli studi, che prosegue poi negli Stati Uniti, dove torna nel 1820. Nel 1827, per aver accumulato pesanti debiti di gioco, è costretto dal tutore ad abbandonare gli studi e cominciare a lavorare. Infelice del suo lavoro di impiegato, si trasferisce a Boston, dove pubblica anonimamente il suo primo libro, Tamerlano e altre poesie (1827). Per due anni è al servizio dell'esercito statunitense e nel 1829 scrive il secondo volume di poesie, El Aaraaf. Dopo essersi riappacificato col tutore, entra all'accademia militare di West Point, dalla quale viene espulso dopo pochi mesi per cattiva condotta, e, in seguito a questo nuovo episodio, viene definitivamente ripudiato dal tutore. Il terzo volume di liriche, Poesie, appare nel 1831. Stabilitosi a Baltimora l'anno seguente, Poe scrive Manoscritto trovato in una bottiglia, col quale vince il concorso indetto dalla rivista "Baltimore Saturday Visitor", collaborando anche con diversi giornali. Dopo la lunga malattia e, nel 1847, la morte della moglie Virginia, anche Poe si ammala e alla sua giovane scomparsa contribuiscono con tutta probabilità l'abuso di alcol e droghe. La produzione poetica di Poe è caratterizzata dall' influenza di autori inglesi quali Milton, Keats, Shelley, Coleridge e dall'interesse per l'occulto e il satanico, che si rispecchiano in tutta la sua narrativa, colma di temi inquietanti. Significative del suo stile e dei suoi motivi ispiratori sono le poesie della raccolta // corvo (1845), che mescola malinconia e presagi di morte. Nel corso della sua attività editoriale, Poe scrive numerose recensioni e si occupa anche di critica letteraria. I suoi scritti divengono celebri per l’ironia che li rispecchia costantemente , e ancora oggi meritano un posto di primo piano nella critica statunitense. Benché si senta più vicino alla poesia, Poe è costretto, da problemi economici, ad avvicinarsi alla prosa, che può garantirgli entrate più cospicue. La prima raccolta di racconti, pubblicata nel 1839, viene tradotta a qualche anno di distanza da Baudelaire, cui si deve il merito della popolarità di Poe in Europa. Inoltre, Poe inaugura il genere del racconto poliziesco. Tra le opere più note di questo genere troviamo Lo scarabeo d'oro (1843), che ha per tema la ricerca di un tesoro sepolto, Murders in the Rue Morgue (1841), The Purloined Letter (1844). Molti racconti di Poe, tra i quali II crollo della casa Usher (1839) e II pozzo e il pendolo (1842), si distinguono per la straordinaria fantasia. Il solo romanzo che scrive è le avventure di Gordon Pym (1838), descrizione di un misterioso viaggio verso il polo sud

DOMIZIANO G.

 

 PIER PAOLO PASOLINI (1922 – 1975)

PPP è un artista complesso e versatile. La sua attività va dalla poesia dialettale a quella in lingua, dalla narrativa al teatro,dalla critica letteraria all’attività cinematografica come sceneggiatore e regista ed è inoltre saggista impegnato su temi civili e di attualità. PPP è nato a Bologna nel 1922. Dopo continui spostamenti, al seguito del padre ufficiale, in varie città d’Italia, torna a Bologna dove si laurea in Lettere con una tesi su Pascoli. Nel 1943, dopo l’8 settembre, sfolla a Casarsa in Friuli, il paese della madre, dove insegna in una scuola media e dove rimane fino al 1949, quando è sospeso e processato per un episodio di omosessualità e radiato dal Partito Comunista. Sono questi anni di intensa produzione letteraria, in dialetto e in lingua. In friulano è la sua prima raccolta di poesie, Poesie a Casarsa e La meglio gioventù; ambientati in Friuli sono i due racconti “Atti Impuri” e Amado mio, pubblicati solo nel 1982. Trasferitosi a Roma, scrive “Ragazzi di vita” (1955) e “Una vita violenta” (1959), cominciando a collaborare a sceneggiature cinematografiche. Nel 1957 pubblica il suo più importante libro di poesie Le ceneri di Gramsci, seguito da L’usignolo della Chiesa cattolica, La religione del mio tempo, Poesia in forma di rosa. Del 1961 è il suo primo film, Accattone, cui faranno seguito numerosi altri film, tra cui Mamma Rosa, Teorema, Medea, Edipo re, Decameron. Partecipa alla fondazione e alla direzione di riviste letterarie come Officina, Vie Nuove, Paragone e Nuovi Argomenti dove sostiene vivaci polemiche sul ruolo degli intellettuali, della letteratura e della storia. I suoi scritti di critica letteraria sono raccolti nel volume Passione e ideologia. Per il teatro scrive un gruppo di sei tragedie. Negli ultimi anni intensifica i suoi interventi politico-ideologici sulla realtà contemporanea, sempre accompagnati da polemiche e discussioni, che saranno pubblicati nei volumi Empirismo eretico e Scritti corsari. PPP è uno dei maggiori rappresentanti dell’avanguardia letteraria del dopoguerra. Superato il periodo del neorealismo, l’esigenza più sentita dei nuovi intellettuali è quella di rappresentare la realtà in modo più problematico, meno semplicistico di quello del neorealismo, ideando nello stesso tempo nuovi modelli espressivi. Le avanguardie letterarie degli anni Sessanta dibattevano intensamente sui rapporti tra la realtà politico-sociale e la letteratura e sul ruolo che gli intellettuali devono avere nella società Con Ragazzi di Vita e Una vita violenta, PPP scardina l’impianto classico del romanzo sia come struttura narrativa che come lingua. I due romanzi rappresentano la realtà in modo nuovo e più profondo rispetto a quelli del neorealismo e sono scritti nella lingua parlata dei borgatari romani, un mondo istintivo e animalesco, violento ma che per l’autore è nello stesso tempo innocente. In questi romanzi è evidente la sua volontà di immedesimarsi nella realtà che descrive, nei personaggi, che lui ama nella sua purezza primitiva. Anche l’uso del dialetto friulano, nelle sue prime opere, va visto come il desiderio di recuperare un mondo primitivo, una lingua originaria, istintiva e pura. La stessa ricerca di una vita naturale e incontaminata si ritrova nelle tematiche dei suoi numerosi film. Anche la sua poesia è nuova rispetto alla tradizione novecentesca, è una poesia non intimista, i cui spunti derivano dalla cronaca e dalla realtà politica e sociale, che affronta temi civili e religiosi, come ne Le ceneri di Gramsci, ed esprime le tormentate riflessioni dell’autore. Infine, negli interventi polemici e provocatori pubblicati sulle pagine di riviste e quotidiani nei primi anno ’70 emergono chiaramente la sua avversione per la società tecnologica e le utopie del ritorno ad una società contadina del passato, che sono interpretate come la rinuncia all’impegno per migliorare la società. Sono posizioni paradossali per una persona di sinistra alla quale PPP affermava di appartenere, ma che hanno fatto di questo personaggio sempre dissonante una voce discutibile e nello stesso tempo stimolante. Alla sua omosessualità, sempre dichiarata apertamente, è legata anche la sua tragica fine avvenuta il 2 novembre 1975, ad Ostia, ucciso da un ragazzo di borgata.

Stefano P.

 

NATALIA GINZBURG ( 1916-1991)

 Natalia Levi nasce a Palermo il 14 luglio del 1916, da un padre illustre medico e da Livia Tanzi. Tornata a Torino, città originaria della sua famiglia, viene accusata di antifascismo e condotta più volte in carcere. Dopo le scuole elementari, che il padre le fa frequentare privatamente a casa, va al liceo ed inizia a seguire i corsi di letteratura all'università, che però non porta a termine. All'età di diciotto anni scrive i suoi primi racconti, che vengono pubblicati sul noto giornale fiorentino Solaria. Poco tempo dopo, un giovane intellettuale di Odessa, Leone Ginzburg, si aggiunge al circolo torinese al quale partecipava anche la famiglia di Natalia. I due si sposano nel 1938 e, insieme a Giulio Einaudi,si dedicano alla fondazione di una casa editrice. Dopo la pubblicazione di alcuni racconti, riuniti nel libro La strada che va in città, la scrittrice si dedica alla stesura di romanzi sul filo della memoria familiare, rievocando voci e persone perdute. Tra essi ricordiamo: E’ stato così (1947); Tutti i nostri ieri (1952); Lessico familiare (1963); Caro Michele (1973). Tra il 1943 e il 1944, i Ginzburg presero parte a diverse attività di editoria clandestina, e ,al loro ritorno a Roma, Leone fu arrestato e condotto in prigione, dove morì per tortura. Nel 1952, si sposò con il professore di inglese, Gabriele Baldini e si trasferì a Roma. Nel 1957 vennero pubblicati Valentino, e il breve romanzo Sagittario, seguiti, nel 1961 da Le voci della sera, un ritorno alla saga famigliare di Tutti i nostri ieri. Nella primavera del 1964, le fu chiesto di scrivere un'opera teatrale, ed il risultato, superate le iniziali reticenze, fu il celebre Ti ho sposato per allegria. A questa, seguirono altre nove commedie, di cui l'ultima, L'intervista, fu messa in scena da Laurence Olivier, a Londra, e da Luchino Visconti, in Italia. Nel 1969, Natalia divenne nuovamente vedova e, l'anno successivo, pubblicò Mai devi domandarmi, una divertente analisi del suo carattere narrata con semplicità e ironia. Qualche anno dopo, uscirono Vita immaginaria (1974), e Famiglia (1977). Gli Anni '80, videro il ritorno della scrittrice alla politica. La Ginzburg fu eletta alla Camera dei Deputati e si batté con ardore in diverse cause umanitarie, come l'abbassamento del costo del pane e l'assistenza ai bambini palestinesi. Nel frattempo, agevolò la pubblicazione di una biografia di casa Manzoni (La famiglia Manzoni ;1983), uno studio sul poeta fiorentino Sandro Penna, ed un romanzo caotico dal titolo La città è la casa (1984).Prima di morire, nel 1991, tradusse Une Vie di Maupassant.

BARBARA M.

 

BEPPE FENOGLIO (1922-1963)

 L’impronta lasciata da Beppe Fenoglio nella narrativa italiana della seconda metà del secolo scorso è insuperabile, per le sue grandi pagine sul tema della Resistenza. Oggi lo scrittore è considerato uno dei più illustri rappresentanti del neorealismo, ma ebbe la sfortuna di non essere gradito ai critici marxisti, per la particolare ironia ed il singolare distacco con cui rievocò la sua esperienza bellica. La semplicità della scrittura tuttavia si accompagna ad una forte intensità emotiva. L’elemento della partecipazione lirica e della sintonia umana con il mondo narrato è evidente nel lungo racconto La Malora(1954), che si distacca dalla tematica resistenziale per narrare la vita dei contadini delle Langhe tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Ad allargare gli interessi culturali di Fenoglio e ad approfondire la sua ricerca stilistica contribuirono lo studio approfondito della letteratura inglese ,specie quella del Seicento,e delle opere letterarie americane che ,negli anni Trenta,C.Pavese ed E.Vittorini andavano facendo conoscere in Italia. Beppe Fenoglio nasce il 1° marzo 1922 ad Alba, nelle Langhe. Nonostante la modesta estrazione della famiglia riesce a frequentare il liceo. Proprio in quegli anni comincia a manifestarsi la sua fortissima passione per la letteratura inglese ed americana ed è da questa che prese spunto per elaborare il suo stile ed il suo lessico, riuscendo a creare un linguaggio realistico ed essenziale.In seguito si iscrive alla facoltà di lettere, ma per la chiamata alle armi, interrompe gli studi universitari. Dopo la guerra viene impiegato in un’azienda vinicola ed inizia a dedicasi alla narrativa. Nella notte tra il 17 ed il 18 febbraio 1963 Fenoglio muore a Torino per un cancro ai polmoni, malattia che già lo tormentava da parecchio tempo. Tra le opere più significative di Fenoglio si ricordano I ventitrè giorni della città di Alba(1952), Primavera di bellezza(1959), Un giorno di fuoco(1963) e Una questione Privata(1965). Particolarmente autobiografico è infine Il partigiano Johnny(1968) (rimasto incompiuto), che racchiude gli elementi caratteristici dell’ispirazione di Fenoglio: vitalismo giovanile, senso dell’avventura, rappresentazione nitida della crudeltà ed insieme partecipazione umana al dolore. Al centro, come sempre, la grande metafora della guerra partigiana. Dall’ottobre al novembre del 1944, per poco più di tre settimane, la città di Alba venne presa e governata da truppe partigiane. Di quella breve esperienza repubblicana Beppe Fenoglio, nel racconto I ventitrè giorni della città di Alba, ritrae aspetti epici e comici al tempo stesso, descrive coraggio e paura, sofferenze e gioie. In questa raccolta di racconti prevale,nell’analisi della società contadina,una descrizione nuda e disperatamente obiettiva della violenza come significato unico dei rapporti tra gli uomini.

ARIANNA R.

 

Alberto Moravia (1907 – 1990)

 Pseudonimo di Alberto Pincherle, autore romano neorealista, che vive e opera nel Novecento. Per molti anni, e fino alla sua morte, è stato considerato il miglior scrittore italiano contemporaneo. Ammalatosi di tubercolosi giovanissimo, vive un’infanzia solitaria e, non potendo compiere studi regolari, si dedica alla lettura e a lunghe riflessioni. Titolo: Ritratto di Alberto Moravia, 1932 Autore: Carlo Levi Moravia descrive in modo impassibile, ma non senza un senso di umana pietà, gli ambienti popolari. Le tematiche che egli affronta nelle sue opere sono: il rifiuto e la critica della società fondata su false regole morali, l’incomunicabilità, la lealtà, la mancanza di valori morali, la necessità di una società giusta e democratica, l’alienazione (del popolo). Alcune di queste tematiche emergono nelle sue opere maggiori tra le quali ricordiamo: “Gli indifferenti”, il suo primo romanzo, censurato dal regime fascista, in cui si ritrae una borghesia inetta e falsa; “La romana” e “La ciociara”, romanzi nei quali viene riscoperto il popolo come alternativa alla noia e ai vizi della borghesia, le cui protagoniste sono due popolane istintive e capaci di sentimenti forti, al contrario della chiusa borghesia. Inoltre scrive i “Racconti romani” e i “Nuovi racconti romani” che si ispirano al popolo e ne descrivono la perdita d’identità. E’ inoltre autore di testi teatrali e cinematografici. Nel brano “La raccomandazione” è possibile ritrovare alcune delle tematiche più sentite dall’autore. Le vicende, ambientate a Roma negli anni Sessanta, ruotano intorno ad un uomo disoccupato che spera di trovare un lavoro tramite alcune raccomandazioni. Nel racconto l’autore mira a denunciare la corruzione del mondo in cui vive, i cui vizi ancora oggi non sono scomparsi. Moravia è uno dei più significativi esponenti del neorealismo e, come tale, rappresenta la realtà di tutti i giorni, documentandola in modo rigoroso ed imparziale. Egli descrive la società del dopoguerra, piena di contraddizioni ma ricca di speranza e di fiducia. Moravia costruisce persone e vicende senza partecipare al loro destino. Lo scrittore nelle sue narrazioni mette in luce i problemi umani e sociali del suo tempo: l’Italia del dopoguerra povera e arretrata, le colpe della borghesia conformista e incapace, i grandi valori del popolo e, soprattutto, la partecipazione dell’autore alle forze democratiche e antifasciste. Moravia è sempre stato sensibile ai problemi civili e sociali del proprio tempo. Centro delle sue narrazioni è quasi sempre l’uomo in crisi, l’intellettuale borghese, per lo più romano, che l’autore privilegia rispetto agli uomini d'affari e ad altri professionisti, perché lo ritiene l’unico in grado di riflettere sulla propria condizione con un grado profondo di autoconsapevolezza. Tra i temi centrali della sua opera letteraria è anche la donna, che Moravia considerava più naturale dell'uomo e meno condizionata dalla Storia. Di fronte al mistero della donna, dai comportamenti sempre sorprendenti, Moravia esprime meraviglia ed incanto. Il suo stile semplice e originale, è connotato da un distacco critico dagli argomenti trattati, e da un linguaggio "comune", in apparenza arido e quasi formale, di cui lo scrittore si serve, invece, per descrivere in modo oggettivo e realistico la miseria dei suoi personaggi. Moravia è dotato di un acuto spirito critico nei confronti dei personaggi descritti. Nelle sue opere si nota, infatti, un forte atteggiamento polemico nella descrizione dei loro gesti e delle loro azioni. La sua poetica, come quella dei neorealisti, da un punto di vista tecnico è considerata povera e priva di elementi innovatori. Si possono cogliere delle analogie con la poetica pirandelliana, in quanto entrambi gli autori denunciano una società falsa, che obbliga l’uomo a vivere secondo schemi ipocriti.

 Ilaria P.

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