Dino Campana e i Canti Orfici
(Marradi, Firenze 1885 - Castel Pulci, Firenze 1932)
dai Canti Orfici
La Chimera
( versi liberi )
Non so se tra rocce il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda ..( 1 )
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( 1 ) giovane sorella della Gioconda, con la fronte d'avorio ……...
Dino Campana assai presto incominciò a soffrire di gravi disturbi nervosi e nel 1906 fu ricoverato nel manicomio di Imola; ma “nomade “ irrequieto che amava la vita “anarchica e avventurosa” e spinto dall’ irrefrenabile smania del viaggio, inteso come “ fuga verso cieli sconfinati e limpidi sotto i quali l'uomo possa sentirsi libero “, vagabondò tra Europa e America del Sud, la cui memoria tradurrà poi in immagini e metafore di forte intensità. Consapevole dell’inarrestabile scorrere dell’esistenza e soprattutto intento a cogliere l’inesprimibile della vita, per sopravvivere nei suoi vagabondaggi, nelle sue “fughe”, fece i più diversi mestieri : il gaucho, il carbonaio, il minatore, il poliziotto e lo zingaro; finì anche in carcere e, a intervalli, fu ospite di centri di cura per le sue turbe comportamentali da cui non riuscì mai a guarire . Dopo una tumultuosa e tormentata relazione con Sibilla Aleramo, che fu per lui l’unico e disperato amore, venne rinchiuso in un manicomio nei pressi di Firenze e lì rimase “segregato” per quattordici anni, sino alla morte. Come la vita, anche la poetica di Campana ha come tema centrale il viaggio, inteso come ricerca ( o fuga), e nei Canti Orfici ( 1914), una straordinaria opera in cui si alternano prosa e versi ( un prosimetro , come la Vita Nuova di Dante ), si coglie una poesia anche tortuosa, ma spontanea e pura, di certo vissuta, legata ad una esistenza irregolare e soprattutto tragica; è un “racconto” di esperienze visionarie denso di immagini, “allucinazioni”, suoni e colori. Il titolo Canti Orfici allude all’antico orfismo ( 1 ), un movimento mistico-religioso legato al mito di Orfeo ( 2 ), ed è una prova della volontà di Campana di riallacciarsi a forme di scrittura “magica”, come quelle in voga tra gli autori simbolisti, e di esprimere il carattere divino e misterioso della poesia, per risalire alla propria identità smarrita e riconciliarsi con la natura, associando le esperienze concrete con le invenzioni dell’inconscio e del sogno. Nei Canti, che si aprono con una prosa lirica, La notte, un racconto in cui è difficile distinguere il reale dal sognato, si susseguono, in correlazione con i motivi di fondo, come il viaggio e la ricerca di identità, visioni notturne e oniriche ( di sogno ), immagini femminili, indefinibili e misteriose, “simboli inquietanti di ciò che non si può afferrare o esprimere (come la Chimera)”, o fortemente realistiche , come le descrizioni di donne "perdute". Lo stile di Campana è caratterizzato da un periodare essenziale e con poche voci verbali; il verso è libero, mentre il linguaggio si presenta spesso arduo, difficile, “visionario” , distante dalla compostezza della tradizione, ma gli effetti, sul piano di suoni colori ed emozioni, sono davvero straordinari.
( 1 )
L’orfismo , che si basava sugli scritti attribuiti ad Orfeo, si affermò in Grecia e in Magna Grecia a partire dal VI sec. a.C. ed ebbe i suoi seguaci anche in età imperiale . Era fondato sulla dottrina dell'esistenza nell'uomo di una parte, l'anima, di natura divina, decaduta a seguito di una colpa primordiale, e per questo prigioniera del corpo; solo la conoscenza della sua autentica natura divina e una lunga serie di purificazioni rituali avrebbero potuto liberarla.
( 2 )
Orfeo, figlio del re di Tracia e della Musa Calliope, fu il più famoso poeta e musico mai esistito. Apollo gli donò la lira e le muse gli insegnarono a suonarla. Era talmente bravo che riusciva a rendere mansuete le belve feroci, ma anche gli alberi ed i sassi restavano incantati dalla sua musica. Ma, un giorno, Euridice, la sua sposa, cercando di sfuggire ad una aggressione, calpestò un serpente che la morse provocandone la morte. Orfeo, disperato, decise di scendere nel mondo degli Inferi per ricondurla sulla terra. Arrivato nell’Oltretomba, grazie alla sua straordinaria bravura, convinse Ade a restituire Euridice al mondo dei vivi. Ade, però, pose una condizione : Orfeo non si doveva voltare indietro finché Euridice non fosse arrivata alla luce del sole. Per tutto il viaggio di ritorno la giovane seguì il suono della lira di Orfeo, che , però, appena intravide la luce del mondo dei vivi, si girò per controllare se Euridice fosse con lui e fu cosi che la perse per sempre.