Dall'Eneide di Virgilio, libro 2° I Greci ricorsero all'ultima arma dello stratagemma e dell'insidia. Ispirati da Minerva, la dea che da sempre aveva dato loro il suo aiuto, costruirono un enorme cavallo fatto con legno di abeti. Ma in quel cavallo si nascondeva l'inganno: le navi e gli eserciti greci si ritirarono, ma solo per nascondersi dietro un'isola non lontana : nella grande pancia vuota di legno avevano invece preso posto guerrieri. E noi Troiani credemmo a quell'inganno. Grande fu la nostra gioia, dopo tanti anni di lacrime e lutti. Si aprirono le porte della città e tutti noi ne uscimmo, esaltatati e felici nel vedere finalmente la nostra terra libera di navi e armi nemiche. E guardavamo ammirati quel gigante di legno, dono a Pàllade Atena. Ci fu chi propose che fosse portato dentro le mura della città; chi invece fu còlto dal sospetto che nascondesse un'insidia e che quindi, per quanto sacro, lo si gettasse in mare o gli si desse fuoco o addirittura lo si sventrasse. Fu Laocoonte quello che con maggiore veemenza cercò di convincerci che nel cavallo si nascondeva l'inganno: che al suo interno potevano nascondersi nemici o spie del nemico. ( timeo Danaos et dona ferentes : temo i Greci soprattutto se portano dei doni )
A quel punto, vedemmo comparire un gruppo di contadini che conducevano un greco incatenato. Costui si diceva fuggito dal campo achèo per sfuggire alla morte decretata da Ulisse per ingraziarsi gli dèi, e a noi era venuto per chiedere aiuto e protezione. Il re Priamo, fattosi convincere come molti dalle sue parole che parevano sincere, gli garantì asilo e salvezza, assicurandogli che con noi si sarebbe trovato fra gente amica. Gli chiese, comunque, a che scopo i Greci avessero lasciato là quel grande Cavallo, per consiglio di chi, e se fosse veramente un voto oppure una magia. Quell'uomo era molto abile nella menzogna, così come lo scaltro Ulisse, l'ideatore di tale inganno, che bene lo aveva ammaestrato per confonderci la mente e farci cadere nel tranello. Invocando gli dèi come testimoni, l'uomo disse che quel gigantesco cavallo, eretto per placare la dea, aveva il preciso scopo di spingere i Troiani a profanarlo e a distruggerlo: talché, come vendetta della dea, una ruina estrema ne sarebbe derivata alla città e al suo grande impero. E per meglio trarre in inganno i prìncipi e il popolo di Troia, avvenne un ferale prodigio. Due immani serpenti uscirono dal mare e s'avventarono sui piccoli figlioletti di Laocoonte, proprio colui che con più forza aveva cercato di convincerci del pericolo che per noi era quel misterioso Cavallo. Avvolsero nelle loro spire i giovani corpi e si attorcigliarono poi intorno a quello del padre, accorso in loro aiuto. Li stritolarono, li soffocarono, li divorarono. Tutti ci convincemmo allora che Laocoonte si era ingannato e che per questo gli dèi lo avevano punito. Tutti gridarono che si portasse quell'immane Cavallo entro le mura, al tempio di Minerva che da Laocoonte era stata offesa, e gli si rendessero i dovuti onori. Così fu fatto; si abbatterono le porte per farvelo passare e entrò nella nostra città. Fu la nostra rovina. Si fece notte; e gli armati scesero a terra calandosi con le funi; fra loro vi era anche l'astuto Ulisse.. La città fu data alle fiamme, gli abitanti barbaramente trucidati, la rocca e il palazzo del re distrutti. Io volli darmi coraggio e cercai di radunare alcuni compagni in armi per un ultimo disperato tentativo di resistenza, ben sapendo che una bella morte onora tutta una vita. Ci fu battaglia, e molti nemici riuscimmo ad uccidere. Ma ben presto dovemmo cedere alla tragica realtà: a porte spalancate, le schiere nemiche entravano a migliaia. Tutto era incendio, morte e rovina. La mia Ilio fu distrutta per sempre. Dopo un lungo viaggio alla ricerca di una nuova patria, Enea approderà infine sulle rive del nostro Lazio. Dalla sua regale progenie nasceranno secoli dopo i gemelli Romolo e Remo, i fondatori di un piccolo borgo che, nell'evolversi della Storia, assurgerà a destini imperiali e alla gloria dell'eternità: Roma.
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