Inferno Canto V
tavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe ne l’intrata; 6 giudica e manda secondo ch’avvinghia. Dico che quando l’anima mal nata li vien dinanzi, tutta si confessa; 9 e quel conoscitor de le peccata vede qual loco d’inferno è da essa; cignesi con la coda tante volte 12 quantunque gradi vuol che giù sia messa.
"O tu che vieni al doloroso ospizio", disse Minòs a me quando mi vide, 18 lasciando l’atto di cotanto offizio, "guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!". 21 E ’l duca mio a lui: "Perché pur gride? Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote 24 ciò che si vuole, e più non dimandare".
Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ’ cavalieri, 72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. I’ cominciai: "Poeta, volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, 75 e paion sì al vento esser leggeri". Ed elli a me: "Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega 78 per quello amor che i mena, ed ei verranno". Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: "O anime affannate, 81 venite a noi parlar, s’altri nol niega!". Quali colombe dal disio chiamate con l’ali alzate e ferme al dolce nido 84 vegnon per l’aere dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno, 87 sì forte fu l’affettüoso grido. "O animal grazïoso e benigno che visitando vai per l’aere perso 90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l’universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, 93 poi c’hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, 96 mentre che ’l vento, come fa, ci tace.
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona 102 che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, 105 che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense". 108 Queste parole da lor ci fuor porte. Quand’io intesi quell’anime offense, china’ il viso e tanto il tenni basso, 111 fin che ’l poeta mi disse: "Che pense?". Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio 114 menò costoro al doloroso passo!".
E quella a me: "Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice 123 ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, 126 dirò come colui che piange e dice. Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; 129 soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso;
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: 138 quel giorno più non vi leggemmo avante". Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangëa; sì che di pietade 141 io venni men così com’io morisse. E caddi come corpo morto cade.
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