Canto III

 

  «Per me si va ne la città dolente,

per me si va ne l'etterno dolore,

per me si va tra la perduta gente.                          3

  Giustizia mosse il mio alto fattore;

fecemi la divina podestate,

la somma sapïenza e 'l primo amore.                         6

  Dinanzi a me non fuor cose create

se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".                    9

 

  Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto

che tu vedrai le genti dolorose

c'hanno perduto il ben de l'intelletto».                    18

 

  Quivi sospiri, pianti e alti guai

risonavan per l'aere sanza stelle,

per ch'io al cominciar ne lagrimai.                         24

  Diverse lingue, orribili favelle,

parole di dolore, accenti d'ira,

voci alte e fioche, e suon di man con elle                  27

  facevano un tumulto, il qual s'aggira

sempre in quell'aura sanza tempo tinta,

come la rena quando turbo spira.                            30

  E io ch'avea d'error la testa cinta,

dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?

e che gent'è che par nel duol sì vinta?».                   33

  Ed elli a me: «Questo misero modo

tegnon l'anime triste di coloro

che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.                      36

 

 

  Questi sciaurati, che mai non fur vivi,

erano ignudi e stimolati molto

da mosconi e da vespe ch'eran ivi.                          66

  Elle rigavan lor di sangue il volto,

che, mischiato di lagrime, a' lor piedi

da fastidiosi vermi era ricolto.                            69

  E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,

vidi genti a la riva d'un gran fiume;

per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi                    72

  ch'i' sappia quali sono, e qual costume

le fa di trapassar parer sì pronte,

com'i' discerno per lo fioco lume».                         75

  Ed elli a me: «Le cose ti fier conte

quando noi fermerem li nostri passi

su la trista riviera d'Acheronte».                          78

  Allor con li occhi vergognosi e bassi,

temendo no 'l mio dir li fosse grave,

infino al fiume del parlar mi trassi.                       81

  Ed ecco verso noi venir per nave

un vecchio, bianco per antico pelo,

gridando: «Guai a voi, anime prave!                         84

  Non isperate mai veder lo cielo:

i' vegno per menarvi a l'altra riva

ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.                  87

  E tu che se' costì, anima viva,

pàrtiti da cotesti che son morti».

Ma poi che vide ch'io non mi partiva,                       90

  disse: «Per altra via, per altri porti

verrai a piaggia, non qui, per passare:

più lieve legno convien che ti porti».                      93

  E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare».                     96

  Quinci fuor quete le lanose gote

al nocchier de la livida palude,

che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.                 99

  Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,

cangiar colore e dibattero i denti,

ratto che 'nteser le parole crude.                          102

  Bestemmiavano Dio e lor parenti,

l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme

di lor semenza e di lor nascimenti.                         105

  Poi si ritrasser tutte quante insieme,

forte piangendo, a la riva malvagia

ch'attende ciascun uom che Dio non teme.                    108

  Caron dimonio, con occhi di bragia

loro accennando, tutte le raccoglie;

batte col remo qualunque s'adagia.                          111

  Come d'autunno si levan le foglie

l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo

vede a la terra tutte le sue spoglie,                       114

  similemente il mal seme d'Adamo

gittansi di quel lito ad una ad una,

per cenni come augel per suo richiamo.                      117

 

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